Oggi un’accurata riflessione a cura della nostra allieva dott.ssa Ludovica Borsellini sul nostro essere professionisti.

 

Come psicologi e (futuri) psicoterapeuti siamo formati a prenderci cura del dolore degli altri. Sappiamo come non farci sopraffare dai racconti dei nostri pazienti, sappiamo come prenderne le dovute distanze e siamo in grado di tenere ben separate vita privata e vita lavorativa.

Ma quando un evento avverso accade su scala mondiale le cose sono ben diverse. Il dolore degli altri diventa di colpo personale. Estremamente personale. Primo perché ci può toccare direttamente: un amico, un parente o un vicino di casa improvvisamente si ammalano di coronavirus e noi non possiamo neppure stargli accanto. Secondo, perché una pandemia ci mette di fronte immancabilmente alle nostre fragilità: la paura della malattia e della morte, il timore di perdere i propri cari, la precarietà della vita e delle relazioni, la solitudine, l’incertezza del futuro si fanno strada prepotentemente nei nostri vissuti quotidiani.

Prendiamo questo tempo per riflettere e lavorare su se stessi e per ampliare le proprie conoscenze: fioriscono ogni dove, infatti, i webinar, le iniziative e i corsi gratuiti offerti ai professionisti della salute mentale. Trasformiamo questa impasse forzata come un’occasione di crescita personale e come un momento per prendersi cura di noi stessi. Non ignoriamo quegli inevitabili segnali di disagio generati dalla situazione, ma concediamoci un momento per essere tristi, per essere arrabbiati e, perché no, per sentirsi impotenti. Sotto i titoli e le specializzazioni siamo umani. Restiamo umani.

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