Le persone non solo provano le emozioni, ma le gestiscono e le regolano. In un’ipotetica idea di funzionamento perfetto un essere umano prova emozioni che dopo un po’ passano e velocemente ritornano allo stato precedente.
Ma come funzionano le emozioni ? In una prima fase la percezione di un determinato stimolo determina uno stato di attenzione associata a modificazioni fisiche dell’organismo. Il messaggio è “qualcosa di importante sta per accadere” che genera un pensiero del tipo “fare attenzione”. Subentra immediatamente una seconda fase di valutazione in cui il cervello processa le informazioni che provengono dall’organismo e dall’ambiente (precedenti esperienze, riferimenti sociali e culturali, contesto attuale, aspettative e scopi personali). In una terza fase vengono valutate le emozioni stimolate dalle valutazioni.
È questo il momento in cui le esprimiamo.
Il nostro sentire si sviluppa nei primi anni di vita. Lo sviluppo delle emozioni e delle capacità cognitive che servono a regolarle è strettamente connesso alla relazione del bambino con i genitori. Attraverso la sua sintonizzazione con le espressioni mimiche e comportamentali delle emozioni del bambino, il caregiver (figura adulta guida) è in grado di rispondere con delle cure e delle espressioni emotive appropriate, facciali o di altro genere, che contribuiscono a loro volta a organizzare e a regolare la vita emotiva del bambino. La condivisione o rispecchiamento di emozioni, in particolare positive, e l’esperienza di sicurezza nel primo ambiente familiare hanno un’influenza importante sullo sviluppo affettivo. Sentiamo emozioni nell’interazione con la nostra figura adulta guida. Possiamo esprimere rabbia, paura, tristezza, felicità in modo controllato o sopra le righe. La nostra figura adulta di attaccamento si comporterà in modo da aiutarci a rimanere equilibrati e ad esprimere in modo positivo tutte le emozioni. Un grosso errore ad esempio si fa dicendo ai bambini “non piangere, non essere triste, non c’è nulla di cui aver paura”; è giusto che i bambini abbiano emozioni e non dobbiamo dare “istruzioni” per controllarle. Dobbiamo aiutarli ad esprimerle e il nostro compito è confortarli. Se abbiamo paura o tristezza o rabbia ci servirà solo tanto conforto e calore. Il genitore arriverà velocemente, ci dirà parole dolci, ci dirà che è giusto avere paura, che va bene così ed eventualmente attirerà l’attenzione su qualcos’altro di interessante distraendoci. Questi meccanismi, positivi solo se c’è sintonia tra genitore e bambino, aiuteranno a regolare le emozioni, ad esprimerle e ad equilibrarle. E dopo qualche anno di interazione con il genitore, piano piano si riuscirà ad autoregolarsi da soli. Un esempio di regolazione emotiva è un adulto che è triste e che telefona agli amici per parlare; un altro esempio è un adulto che bisticcia e va a fare solitari al computer per ore; un altro esempio è un adulto che è spaventato e si fa abbracciare affidandosi alla propria compagna. E facendo così il dolore emotivo diventa meno intenso e più tollerabile.
Il conforto dei propri figli è un comportamento molto importante per la loro futura vita psicologica. Se un bambino piange, corre a farsi confortare dalla figura adulta guida. Un genitore abbraccia l’esserino carezzandogli i capelli e baciandolo e consolandolo con una voce amichevole ed affettuosa; gli chiede con calma informazioni sul perché piange e gli dice che non è nulla e che passerà. Appena ha finito di piangere e si è consolato eventualmente solo allora gli può spiegare cosa è successo e cercare di fargli capire qualcosa in più.

Dott. Ferdinando Galassi